Thursday, December 1, 2011

Di fronte alla Legge (Vor dem Gesetz)



Di fronte alla Legge c’è un guardiano. Dal guardiano arriva un uomo dalla campagna e gli chiede il permesso di accedere alla Legge, ma il guardiano gli risponde che l’accesso non può essere consentito al momento. L’uomo riflette e chiede se più tardi gli sarà possibile accedere. «È possibile», dice il guardiano, «ma non ora». Poiché la porta di ingresso alla Legge è aperta e il guardiano si scosta un po’, l’uomo si china per dare, dalla porta, un’occhiata all’interno. Il guardiano, accorgendosene, si mette a ridere, poi dice: «Se ti attira tanto, prova ad entrare anche a dispetto del mio divieto. Ricorda però che io sono potente. E sono solo l’ultimo dei guardiani. Da una sala all’altra ci sono guardiani uno più potente dell’altro. Già lo sguardo del terzo è impossibile da sostenere anche per me». L’uomo di campagna non si aspettava tali difficoltà; la Legge, nel suo pensiero, dovrebbe esser sempre accessibile a tutti ma ora che guarda meglio il guardiano avvolto nella sua pelliccia, con il suo gran naso adunco, la lunga e sottile barba nera all’uso tartaro, decide che gli conviene attendere finché otterrà il permesso. Il guardiano gli porge allora uno sgabello e lo lascia sedere accanto alla porta. Siede lì per giorni ed anni. Tenta diverse volte di esser lasciato entrare e stanca il guardiano con le sue preghiere. Il guardiano lo sottopone sovente a brevi interrogatori, gli chiede della sua patria e di molte altre cose, ma sono domande poste con distacco, alla maniera dei gran signori e alla fine conclude sempre dicendogli che non può consentirgli l’accesso. L’uomo, che si è messo in viaggio ben fornito, dà fondo ad ogni suo avere, per quanto prezioso possa essere, pur di corrompere il guardiano e questi accetta ogni cosa, però gli dice: «Lo accetto solo perché tu non creda di aver tralasciato qualcosa». Durante tutti quegli anni l’uomo osserva il guardiano quasi incessantemente; dimentica persino che ve ne sono degli altri e quel primo guardiano gli appare come l’unico ostacolo al suo accesso alla Legge. Impreca sulla propria sfortuna, nei primi anni senza riguardi ed a voce alta, poi, man mano che invecchia, limitandosi a borbottare tra sé. Diventa infantile e poiché studiando per tanti anni il guardiano, ha anche individuato una pulce sul collo della sua pelliccia, prega anche la pulce di intercedere presso il guardiano affinché cambi idea. Alla fine gli s’affievolisce la vista e non sa se è perché tutto gli si fa buio intorno o siano solo i suoi occhi a tradirlo. Ma adesso, nella tenebra, avverte un bagliore che scaturisce inestinguibile dalla porta della Legge. Non gli rimane più molto da vivere. Prima della fine tutte le nozioni raccolte in quel lungo tempo gli si concentrano in testa in una domanda che non ha mai posto al guardiano e allora gli fa cenno, poiché la rigidità che vince il suo corpo non gli permette più di alzarsi. Il guardiano deve abbassarsi molto per arrivare fino a lui, dato che la differenza delle stature si è modificata a svantaggio dell’uomo. «Che cosa vuoi dunque sapere ancora?» domanda il guardiano, «sei proprio insaziabile». «Tutti si sforzano di arrivare alla Legge,» dice l’uomo, «e come mai allora nessuno in tanti anni, all’infuori di me, ha mai chiesto di entrare?» Il guardiano si accorge che l’uomo è agli estremi e, per raggiungere il suo udito che già si spegne, gli urla: «Nessun altro poteva ottenere di entrare da questa porta, a te solo era riservato l’ingresso. Adesso vado e la chiudo».

(Franz Kafka)

Trad. dal tedesco: Dr. Divago

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